San Francisco, California, 27 marzo 2017. L’imprenditore Elon Musk, una delle menti nello sviluppo di progetti come Tesla e SpaceX, ha annunciato la sua prossima avventura: Neuralink. La società ha l’obiettivo di fondere gli esseri umani con l’elettronica, creando ciò che Musk definisce il pizzo neurale. Esso è un dispositivo che iniettato nella vena giugulare raggiungerebbe il cervello per poi dispiegarsi in una rete di connessioni elettriche collegate direttamente ai neuroni umani. L’idea è di sviluppare delle interfacce cervello-computer potenziate per aumentare la larghezza con cui il cervello biologico può interagire e comunicare con dei computer esterni. Il pizzo neurale scenderà fino a raggiungere il livello dei neuroni cerebrali: sarà una maglia che riuscirà a collegarsi direttamente alla materia cerebrale e poi a connettersi con un computer. Quell’essere umano sarà un cyborg. Il cyborg è una miscela biologica tra uomo e macchina.
Il Prof. Kaku si chiede: «Cosa spinge a fondersi con i computer piuttosto che competere con essi? Un complesso di inferiorità? Nulla potrà impedire alle macchine di diventare sempre più intelligenti, finché non saranno in grado di programmare e realizzare il robot per conto proprio. Per questo l’uomo cerca di trarre vantaggio dalle doti sovraumane».
Sebbene, come sappiamo, Elon Musk abbia chiarito quali siano i pericoli derivanti dalla creazione di un’intelligenza artificiale che sfugga al controllo, è anche convinto che se il progetto sarà sviluppato correttamente gli esseri umani godranno del potere di una tecnologia informatica evoluta facendo un passo in avanti rispetto all’attuale biologia. Ma mentre la tecnologia Neuralink è ancora in uno stadio embrionale ci sono molti che insistono sul fatto che la fusione tra uomo e macchina non sia qualcosa di così remoto e sono convinti che in un modo o nell’altro ciò accada da decenni.
Nel 2002 il Prof. Kevin Warwick – ingegnere, e docente di cibernetica all’Università di Coventry in Gran Bretagna – ha dimostrato che un impianto neurale non solo poteva essere controllato da una protesi ma anche da un altro essere umano.
Nell’anzidetto anno egli e sua moglie si sono fatti impiantare un set di elettrodi – 100 a testa per la precisione – nel sistema nervoso, per poterlo a sua volta collegare a un computer. A quel punto non hanno fatto altro che collegare i due sistemi nervosi in modo che potessero comunicare tra loro; per cui ogni volta che la moglie chiudeva la mano, il cervello del marito riceveva sempre un impulso; se invece la moglie l’apriva e la chiudeva per tre volte consecutive, gli impulsi erano tre. In questo modo sono riusciti a collegare tra loro due sistemi nervosi. Chissà cosa potrebbe accadere in futuro.
Invece di parlare e inviare messaggi o email si potrà presto comunicare tra di noi? È solo questione di tempo prima che la tecnologia cibernetica ci offra un’infinita serie di possibilità. Questo consentirebbe di ordinare un pacco solo col pensiero; ascoltare musica direttamente nel cervello o fare ricerche su internet semplicemente pensando a ciò che siamo interessati a trovare.
Il Prof. Kaku afferma: «Siamo diretti verso una nuova forma di immortalità: quella informatica. Digitalizzando nella nostra coscienza ogni informazione conosciuta, allora forse l’anima diventa informatica. A quel punto anima e informazioni potrebbero essere separate dal corpo e quando il corpo muore l’essenza, l’anima e la memoria vivrebbero all’infinito».
In tal caso gli esseri umani saranno sul punto di rimpiazzare corpo e mente, pezzo per pezzo, mentre si preparano a trasformarsi in cyborg.
Il matrimonio tra uomo e macchina si è trasformato in qualcosa che si verifica sempre più spesso nel settore dei personal computer, dei tablet, dei cellulari e persino degli impianti che forniscono un’infinità di dati: dai parametri vitali di un individuo alla geolocalizzazione, dal regime alimentare al comportamento ricreativo, ecc.; per cui siamo destinati a fonderci con le macchine che stiamo creando. Queste tecnologie ci aiuteranno a realizzare quei passi in avanti che potranno portarci a balzi che vadano oltre il nostro pianeta e la luna – come vedremo meglio in seguito. Questo è il futuro che ci attende: un futuro in cui l’evoluzione non avverrà più per selezione naturale come dice la presunta verità darvinistica, ma per gestione umana. Ciò accadrà nei prossimi decenni in un futuro a breve termine.
Su «Icarus» (vol. 224, n. 1, maggio 2013) – rivista dedicata al campo delle scienze planetarie, e pubblicata sotto le indicazioni della Division for Planetary Sciences dell’American Astronomical Society – il matematico Vladimir Ščerbak e l’astrobiologo Maksim A. Makukov, entrambi kazachi hanno pubblicato uno studio condotto sul genoma umano: The “Wow! signal” of the terrestrial genetic code.
Le conclusioni della ricerca sono scioccanti. Nel nostro DNA ci sarebbe un codice nascosto contenente precisi modelli matematici e un linguaggio simbolico sconosciuto. Dall’esame del genoma umano si evince la presenza di una specie di impronta non terrestre sul nostro codice genetico, che funzionerebbe proprio come un codice matematico. Le probabilità che questa sequenza si ripeta nove volte nella casualità – “presunta” dal darvinismo – del nostro codice genetico sono una su dieci miliardi. Il DNA ha sicuramente origini non casuali e che nulla hanno a che vedere col darvinismo del sec. XIX, ripetuto stancamente sino ad oggi.
I nostri geni sono stati mutati artificialmente, e se questa teoria dei due studiosi kazachi fosse vera, che l’uomo sia portato a trasformarsi in cyborg è perfettamente plausibile dal momento che racchiude un’intelligenza non casuale che può unirsi a quell’intelligenza artificiale che per ora è solo patrimonio di computer sofisticati o primi tentativi di robot umanoidi. Vi è pure la risposta alla domanda del Prof. Kaku: per questa ragione gli umani hanno un debole, da tempo immemore, per la creazione di loro varianti e migliorate con la cibernetica (programmazione di robot dotati di intelligenza artificiale), nonché siano desiderosi di fondersi con l’IA medesima. E molti studiosi ed esperti concordano sul fatto che qualunque specie intelligente per poter sopravvivere evolvere e viaggiare attraverso il cosmo dovrà superare la fase biologica. Questo perché uscendo dall’atmosfera terrestre e cercando di andare oltre, molto oltre, gli umani devono essere in grado di adattarsi ad ambienti diversi a luoghi dove l’atmosfera è velenosa, o dove l’attrazione gravitazionale è molto più forte o molto più debole che sul nostro pianeta.
La miglior risposta al Prof. Kaku è che gli esseri umani siano in qualche modo costretti a creare robot sempre più simili a se stessi non per soddisfare il desiderio di superarsi dando vita a creature intelligenti a propria immagine e somiglianza, ma per compiere il proprio destino fuori dalla terra. E lo dimostrano gli ulteriori indizi che arrivano dall’analisi delle ultime tecnologie sviluppate dall’uomo in attesa della prossima fase della sua evoluzione nello spazio.
«Science Robotics» – la prestigiosa rivista scientifica edita dall’American Association for the Advancement of Science – ha pubblicato l’articolo Robotic space exploration agents (vol. 2, n. 7, giugno 2017), scritto da Steven Chien e Kiri L. Wagstaff, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, presso l’Istituto di Tecnologia della California. Secondo la loro teoria molto presto gli astronauti che viaggeranno per lo spazio saranno sostituiti da robot: esseri umani sintetici capaci di prendere decisioni autonome mediante l’intelligenza artificiale. Lo spazio è un ambiente davvero ostile per gli umani: c’è una forte radioattività e muoversi nel vuoto non è così semplice – al contrario le macchine si muovono agilmente nello spazio. L’importante è che i circuiti elettronici siano protetti dai danni; quindi è più semplice e più economico per una macchina esplorare un altro pianeta o un altro sistema solare. Si è convinti che l’esplorazione spaziale si baserà più sulla macchina che sull’uomo. Non sarà l’uomo ad esplorare lo spazio su vasta scala: manderemo macchine dotate di intelligenza artificiale che non avranno problemi di accelerazione dal momento che potranno viaggiare al di fuori del sistema solare utilizzando l’accelerazione di gravità.
Sarebbe utilissimo avere un sistema intelligente in grado di comunicare, ad esempio, con Alfa Centauri – il sistema stellare a noi più vicino – dal momento che per mandare un segnale sulla terra e ricevere una risposta ci vorrebbero 8 anni e 133 giorni. Perché allora non servirsi di un’intelligenza artificiale per prendere decisioni e lavorare? Missioni su Marte e Alfa Centauri guidate da intelligenze artificiali potrebbero diventare realtà. La NASA testa questa tecnologia già dal 1998 con la sonda spaziale Deep Space 1. Essa è stata inviata sulla cintura asteroidale localizzata tra Marte e Giove: usando un sistema chiamato AutoNav, la sonda ha scattato foto di asteroidi seguendo il suo itinerario senza il supporto di alcun umano. Il rover su Marte in pratica è un robot terrestre autonomo che gira intorno a Marte raccogliendo campioni e trasmettendo informazioni. Si tratta di un sistema autonomo messo in campo da poco; ciò significa che non appena l’intelligenza artificiale sarà abbastanza affidabile da essere impiegata a bordo di un veicolo spaziale, ci sarà una navicella e robotizzata che potrà arrivare su Marte. Una volta che invieremo astronavi robotizzate programmate con l’intelligenza artificiale rinunceremo a ogni possibilità di controllo perché saranno i nostri inviati a prendere decisioni sul momento.

(4. continua)

Giancarlo Elia Valori